Eravamo rimasti al Gospel Tour? Va bene, ve lo spiego dall’inizio. Lo spiego non perché boh, debba tirarmela, ma perché può essere utile ad altri musicisti. Io racconto esperienze.
Mr Alfred, boss di una delle agenzie più note di New Orleans e amico da anni, mi chiama e mi chiede se quest’anno a Dicembre sono a casa. Mi vogliono come batterista. Usti! In effetti avevo insistito con l’agenzia delle navi per passare il Natale in famiglia. Vabbè, in fondo i Joyful mi hanno adottato anni fa e sono un po’ la mia famiglia. Tra i pochi a farsi vivi durante la pandemia, quando non sapevo minimamente come mangiare. Conosciamo la storia no?
Bè, allora Tour Gospel con una band storica di New Orleans, in giro da trent’anni. Una occasione unica per mettermi alla prova e imparare cose nuove. Il mio timing è proprio quello vero? So accompagnare un coro? Il groove è quello serio ma serio serio ?? Eh, mo’ vediamo. Sorpresa, tutti entusiastissimi ma con qualche accorgimento. Per esempio, i grooves devono essere molto più semplici e solidi del previsto. Shuffle vietato, fill di batteria con estrema attenzione senza mai sovrapporsi al coro, timing ultra stabile senza aspettare nessuno. Via dritto.
Tra l’altro, ho notato che loro cantano esclusivamente sulla batteria. Devono avere un ritmo solido che li “accende”. Se mi fermo, si perdono. La batteria è parte del coro. Punto. Per cui eventuali “intri” di attesa e “poi partiamo” non esistono. Il groove è subito e basta.
E poi le dinamiche. Non c’è nulla di deciso, ma bisogna capire dove va il solista, che ad un certo punto decide di parlare e/o far cantare il pubblico, e va assecondato al volo. E poi, ovviamente, il timing generale. Loro sono sempre seduti sul tempo, senza nessunissima fretta. E questa cosa va capita subito, o ci si ritrova un pelo più avanti di dove si dovrebbe essere. Anche al primo “crash” meglio fare un respirone e credere profondamente che sia un tot più in là di dove pensi.
Tutte cose già sperimentate in anni di Blues, o suonando con artisti neri, che hanno sempre quel timing lì. Però con un coro le cose in qualche modo si amplificano e bisogna fare ancora più attenzione. Ma la gioia è vedere che loro ti sentono partire col ritmo e ci ballano sopra. Che la ritmica, io Alfred e Carolyne, siamo una cosa sola, senza mai sentire qualcuno andare a farfalle. Insomma, lo posso fare. Posso suonare Spain o anche Camilo, il Jazz moderno o la Big band, ma a quanto pare posso anche essere semplice e andare dritto al punto, come si usa nel Gospel tradizionale. Certo, esistono anche altri stili più moderni, dove si smanetta un po’.
Il Tour è cominciato a Madrid, proprio al Prado, museo grandioso che sognavo di visitare da sempre, per poi spostarsi in Italia e Svizzera. Chiese, teatri, rassegne varie, più o meno organizzate, dove abbiamo trovato regolarmente il “sold out”.
L’Italia è strana. A volte si trovano piccoli Comuni con palazzi storici restaurati con un teatro bellissimo, come a Comacchio, e altre volte boh, centri poli funzionali progettati senza alcun criterio e dove le cucine (immancabili) servono da spogliatoio. Per cui alle volte i poveri Promoters devono fare salti mortali per organizzare le cose. Insomma, in Italia la volontà di organizzare non manca mai, e neppure la passione. A volte mancano strutture adeguate, probabilmente anche fondi adeguati, che ci sarebbero, se utilizzassimo certe risorse per cose di pace, e non altro. E la musica è cosa di pace, sempre.
Ora boh, Tour finito, loro tornati alle loro cose a New Orleans e io a lavorare ai miei progetti, perché un artista lavora sempre a dei progetti. Noi esistiamo per creare e realizzare progetti artistici o educativi, anche quando il mondo sembra pensare ad altro. Anzi, soprattutto quando il mondo sembra pensare ad altro. Ecco, allora, cosa potrei dire di aver imparato dal Gospel Tour?
Ogni giorno i Joyful mi hanno espresso la loro stima e la loro amicizia, sempre suonando, cantando, o semplicemente provando i brani con gioia, come se in fondo fosse sempre la stessa cosa, ed è così. La musica è gioia sempre, anzi, è un dono sempre. E’ un privilegio poter suonare e anche poter ascoltare, ed è per questo che dovremmo coltivarla e prendercene cura, in un certo senso anche “togliendo le erbacce”, che con la musica han poco a che fare.
La musica celebra qualcosa, racconta una cultura, una storia avvenuta, una leggenda, qualcosa che comunque val la pena tramandare e che ci fa conoscere qualcosa di uno o dell’altro. La musica nobilita l’essere umano e il suo ingegno, collega discipline, arti, scienze, e questo lo vediamo soprattutto nella grande tradizione Europea, ma tenendo a mente che altri popoli hanno creato a modo loro opere degne e magari altrettanto immortali. Ecco, io non credo che tutta la musica sia uguale, ma credo che quando questa rispecchia una qualche cultura, allora vada rispettata.
C’è posto per Wagner, per Pergolesi, per Miles Davis, per Johnny Cash, per Nick Drake, per Cuba e per il Gospel. Da non confondersi con l’erbaccia, che oggi si tenta di spacciare per arte. La musica è gioia.
Se è gossip e basta, sapete cosa fare : – )
Gio Rossi













